Il lupo mannaro

In un piccolo paese tra l'Abruzzo ed il Molise, nel secolo scorso, si svolse una tragica storia, che sconvolse le popolazioni limitrofe per lungo tempo e riapparve, dopo anni e secoli la paura del “lupo mannaro”.

Quando si parla di lupo mannaro si intende “licantropo”, parola greca che significa “uomo lupo”. Si, la tradizione popolare, ma anche la storia, ci ricorda l'esistenza di lupi mannari; anche la Chiesa, che ha tante cose da farsi perdonare, tra il '500 ed il '600, mandò a morte, per mezzo del Tribunale dell'Inquisizione, circa trentamila uomini giudicati di aver venduto l'anima al diavolo e di essere diventati lupi mannari. In questo paesino, nei primi decenni del Novecento, il 25 di dicembre, nacque Cosimino, da genitori ignoti, essendo stato trovato dalla “perpetua” del luogo sul sagrato della Chiesa. Ora bisogna sapere che in alcune zone del Centro-Sud, dove la cultura ha tardato a prendere piede, si dice che chi nasce in questa data possa diventare un probabile lupo mannaro e che i suoi diabolici istinti si scatenino nelle notti chiare di luna piena. Sapete come sono i bambini quando vogliono essere “bulli”, ebbene già da piccolo Cosimino veniva riconosciuto come “Lu Lupu” e crescendo, nella sua grassa ignoranza, si era quasi convinto che fosse veramente un lupo, figlio di lupi e, nelle notte di luna piena, saliva sulla torre antica del paese che, dominava tutta la vallata, ed emetteva delle urla terrificanti, che gelavano il sangue nelle vene dei paesani, che chiudevano le porte di legno pesante , delle vecchie case, mettendovi dietro dei paletti di ferro. Cosimino era ormai un trentenne, buono come il pane fresco di giornata, ma nessuno gli dava un lavoro, perché tutti avevano paura della sua trasformazione ed allora viveva di elemosina o di lavori giornalieri pesantissimi a cui nessuno voleva sottoporsi e tutti lo conoscevano e lo chiamavano solo: “lupu” e lui, convinto com'era, faceva di tutto per sembrarlo, vestiva con pantaloni rozzi di pelle di pecora, che s'era cucito da solo, e con un giaccone proprio di pelle di lupo: la zona, oggi parco nazionale protetto, era frequentata da molti lupi che, di inverno, scendevano a valle e, quando potevano, facevano strage di pecore. I pastori, quando lo vedevano, gli aizzavano i cani contro e lui borbottando ed andando via inveiva con la promessa di vendicarsi. Ai piedi del paesino, costruito su di un colle a schiena d'asino, scorreva un torrentello dall'acqua purissima e freschissima. Gli antichi avevano costruito un canale di deviazione che portava l'acqua in una grande vasca di pietra, dove le donne lavavano i panni e, dove venivano sfregati, le pietre erano consumate e rese lisce dagli anni ed anni di lavorio. Mentre le donne in ginocchio lavavano e parlavano di tutto, ma soprattutto di pettegolezzi, i bambini si divertivano a prendere “girini” (piccole rane) ed a metterli in recipienti, qualcuno, dopo aver trovato un pezzetto di legno adatto alla bisogna, lo metteva in acqua e sfidava gli amici per vedere chi riusciva a fare andare più lontano le improvvisate barche e c'era chi andava in cerca di fiori rari per metterli ai piedi della Madonna nella Chiesa parrocchiale. Spesso, Cosimino, che non aveva mai avuto una donna né ne poteva avvicinare alcuna, spesso si nascondeva dietro una fitta siepe di prugnoli, pungendosi anche pur di vedere meglio quando, sopraffatte dalla fatica e dal caldo, alcune donne decidevano di bagnarsi nel fiume. Una volta fu scoperto mentre sbirciava e quando gli uomini del paese lo seppero gli fecero una bella accoglienza in piazza a suon di sberle e di calci, lasciandolo tramortito a terra. Un giorno di piena estate, tante persone erano al fiume, molti avevano portato da mangiare con l'intenzione di passare in quel luogo l'intera giornata, ma quando fu sera mancava una bambina all'appello. Fu chiamata lungamente, poi, tutti si misero alla ricerca, uomini, donne e bambini. Più in basso, dove il fiume perdeva velocità, perché diminuiva la pendenza, e si slargava in un pantano acquitrinoso, pieno di insetti, di zanzare e puzzolente, furono trovati alcuni vestiti della bimba e, non molto lontano, il corpo martirizzato, con una larga e profonda ferita al collo. Il grido di tutti fu: “lu lupu”! Una buona parte degli uomini si diede alla caccia di Cosimino “lu lupu”. Lo chiamarono, lo cercarono, chiesero in giro, ma non lo trovarono. Due paesani si nascosero nel capanno di Cosimino, armati di fucile, aspettando il suo rientro; intanto, avvisati, erano arrivati i carabinieri, che erano stanziati nel paese vicino. Quella fu notte di luna piena e, improvvisamente, mentre quasi tutti erano in piazza, in attesa degli eventi, degli ululati orribili provennero dalla torre. Tutti, anche i più coraggiosi rimasero inorriditi: bambini e donne scapparono e si barricarono nelle case, mentre gli uomini armati di tutto punto, con fucili da caccia, forconi e falci si avviarono verso la parte alta del paese e trovarono Cosimino che ancora gridava alla sua luna, come fanno i veri lupi, quasi per venerarla ed esorcizzarla. Gli si scagliarono contro ed in pochi attimi dell'uomo non rimase quasi più niente: fu stracciato, fatto a pezzi e questi sparsi dappertutto. Giustizia fu fatta! Purtroppo, la quasi totalità dei partecipanti al crimine furono indagati per omicidio e la cosa più scioccante fu che alcuni testimoniarono, ed in testa il prete del paese, che in tutta quella giornata “lu lupu” non si era allontanato dal posto di lavoro per cui non poteva, assolutamente, aver compiuto il misfatto. Molti si pentirono, ma per anni si parlò del caso ed il colpevole non fu mai trovato, forse, e senza forse, era uno dei più arrabbiati nella soppressione di Cosimino per zittire la verità. Oggi, grazie a Dio, si parla ancora di licantropia, ma come una malattia mentale, di schizofrenia: i lupi sono lupi e rimangono lupi, e così gli uomini se si faranno guidare dalla ragione e non dagli istinti e da tradizioni false e bugiarde.

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