Cicerinella

Un gruppo musicale abruzzese ha trasformato il nome Cicerinella in Cicirinella e canta: “Cicirinella teneva teneva e...che teneva, che teneva!” ecc. Cicerinella è, chiaramente dai versi, una filastrocca popolare napoletana, scritta da autori sconosciuti nel XVIII secolo e, poi, musicata in tarantella.

Oggi, infatti, prende il nome di “Tarantella di Posillipo”. Cicerinella significa “piccolo cece”, cioè bambina piccola ma vivace. Annunziatina era una bimba tutto pepe, era piccolina di statura, per la sua, anche se, tenera età e si faceva gli affari di tutti, tanto che, per chi la conosceva, aveva preso il nomignolo di Cicerinella. Viveva una vita bellissima, amata da tutti, vezzeggiata da parenti ed amici. Era di famiglia benestante se non addirittura ricca: il padre era stato per anni il Podestà di un grande comune vesuviano, in provincia di Napoli. Gli anni passarono, la bimba diventò grandicella, molto bella e, addirittura, alta anche di statura; della Cicerinella non c'era rimasto proprio nulla. Un fratello era un Ufficiale di alto grado, molto importante, che, successivamente, ricoprì un alto ruolo nel X° Comiliter di Napoli, situato in Piazza Plebiscito; un altro fratello continuava l'attività paterna di allevatore di cavalli da corsa e di agricoltore, essendosi laureato in Agraria. Ora bisognava sistemare, come prima si era soliti dire, solo la ragazza, cioè trovarle un marito, possibilmente “importante”. Non mancò tempo e si fece avanti un possidente di terreni agricoli: giovane, bello e ricco ed il padre disse ad Annunziata: “E che vuoi di più!” Ed il matrimonio si concluse. Grande festa, quasi tutto il paese fu invitato, senza badare a spese, ma già da quel giorno la sposa notò qualcosa di strano, il matrimonio non fu consumato, perché lo sposo era ubriaco fradicio. Passarono, comunque, gli anni e Annunziata teneva dentro di sé le sofferenze dovute al vizio del bere del marito senza farne partecipi i familiari. Nacque la prima figlia e fu grande delusione per il marito. Nacque la seconda figlia; nessuno lo seppe, ma Annunziata fu maltrattata dal marito ed anche picchiata. Purtroppo, per il bene delle figlie, la povera donna non diceva niente e la situazione tra i coniugi precipitava di giorno in giorno. Ma ecco che, finalmente, nacque il terzo figlio e questa volta maschio. La festa fu grande, finalmente c'era l'erede dei grandi possedimenti. Il battesimo del piccolo Alessio se lo ricordano ancora oggi i più vecchi del paese. Carrozze e carrozze; fu invitata la Napoli bene ed i magnati dei dintorni ed alla popolazione furono distribuiti dolci, confetti in grande quantità. L'erede ora c'era, ma i rapporti tra moglie e marito non migliorarono, sempre a causa del vizio del bere. Allora, Annunziata puntò i piedi e decise che doveva finalmente alzare la voce e che doveva lei prendere il ruolo di capofamiglia per il bene dei suoi figli. Al marito che ogni sera andava ad ubriacarsi nelle varie trattorie della zona, con grande felicità degli altri ubriaconi, perché bevevano gratis, faceva approntare un calesse tirato non da un cavallo, ma da una mula, perché di lei Annunziata si fidava e perché quando, a notte fonda, i proprietari dei locali mettevano di peso il marito sul calesse, la mula si avviava e, senza guida, da sola, riportava l'uomo a casa. Non passò molto e l'uomo morì di cirrosi, lasciando tutto sulle spalle della moglie, quelle spalle che per il lavoro, per le preoccupazioni si erano leggermente incurvate. La “spagnola”, una brutta malattia che invase mezza Europa, nei primi decenni del 1900, le tolse la prima figlia e la seconda morì non molto tempo dopo di tisi. Le rimaneva Alessio, sul quale puntò tutto l'affetto, tutto l'amore e tutte le speranze! Quando in campagna si mieteva il grano, e Annunziata di distese di grano ne aveva molte, arrivavano gli spigolatori che chiedevano, poveracci, di raccogliere quelle spighe che erano cadute o sfuggite ai mietitori e, successivamente, arrivavano, dopo che il terreno veniva arato, le raccoglitrici di gramigna, un'erba molto apprezzata, oggi, dalle erboristerie, ma che allora era un cibo ricercatissimo per gli equini. Annunziata dava volentieri il permesso, anche perché così si bonificava il terreno da erbe infestanti. Il patrimonio, con l'onestà e la bravura di Annunziata era addirittura aumentato, Alessio dava grande collaborazione: era stato fino ad allora un ragazzo serio. Ma lo zampino del diavolo è sempre dietro la porta: Alessio si innamorò di una bella ragazza raccoglitrice di gramigna. Niente di male, ma la ragazza non era molto seria: se lo accalappiò e non lo abbandonava un istante, facendogli provare le dolcezze ed il piacere dell'amore ed Alessio, inesperto e giovane, cadde nella trappola tesagli dalla ragazza. Intanto fu costretto, alle soglie della Seconda guerra mondiale ad arruolarsi e fu mandato nel Trentino, molto lontano da casa e dalla sua ragazza. Al giovane non dava fastidio la vita militare, che sopportava benissimo, oltretutto era un ufficiale, ma la lontananza dalla sua ragazza era insopportabile, ed un giorno commise un gesto, per quei tempi terribile, scappò, di notte, per raggiungere la sua bella, ma fu fermato verso Firenze, tratto in arresto e considerato disertore. E per i disertori c'era la morte. L'episodio fu comunicato ad Annunziata, che subito interessò del caso il fratello, ormai Generale dell'Esercito ed intimo, addirittura, di Mussolini. Bastò un ordine ed Alessio non solo fu scagionato dalla ignobile accusa di diserzione, ma fu, addirittura, congedato. Non passò tempo ed Alessio sposò la sua ragazza con fastoso matrimonio, ma iniziò anche il declino di una dinastia di grandi possidenti. Il primo a soffrire il cambiamento fu quella che una volta era, per tutti, Cicerinella e che ora tutti chiamavano Donna Annunziata. Alessio fu costretto a segregarla in un'ala del grande palazzo, laddove viveva la servitù: la nuova signora non voleva interferenze da parte della suocera e voleva fare ciò che più le piacesse, con la passiva compiacenza del marito. Il palazzo era sempre illuminato a festa e non mancava giorno che non ci fossero ospiti; furono comprate le prime macchine, di grossa cilindrata e di importanti marche, che dovevano sostituire, ormai, i vecchi calessi ed i buoi, che trainavano gli aratri, furono sostituiti da nuovi mezzi come i trattori. Quasi ogni anno nasceva un figlio e si fermarono ad undici, che, non seguiti dalla madre, erano ignoranti come capre, ma bravi a spendere denaro. Spendi oggi e spendi domani, la situazione economica precipitò paurosamente ed Alessio dovette ricorrere alla madre Annunziata, che per il figlio avrebbe fatto tutto. Le raccontò di quello che succedeva in famiglia e questa volta, piangendo, ammise di aver sbagliato tutto nella vita e che gli unici momenti di pace li trovava quando aveva la mente offuscata dall'alcool. La madre ebbe pietà di suo figlio e gli intestò tutte le sue proprietà, rimanendo nuda come quando sua madre l'aveva messa al mondo. Per poco le cose migliorarono, ma consumato il patrimonio iniziarono i debiti con le banche fino a non riuscire a coprire nemmeno gli interessi ed allora, con la complicità di un amico avvocato, Alessio mise in atto un altro gesto folle. Stipulò una forte assicurazione sul suo palazzo e su altri possedimenti già pignorati ed una notte, iniziando dalle stalle, dove ancora riposavano parecchi animali, diede fuoco a tutto con balle di fieno cosparse di petrolio Si alzò, all'improvviso, un fuoco altissimo che in breve tempo si diffuse dalle stalle all'abitato. Tutte le persone riuscirono a mettersi in salvo, ma Alessio rimase intrappolato e solo Annunziata corse verso le stalle, vide Alessio avvolto dalle fiamme e cercò, ma inutilmente, di tirarlo fuori e quando arrivarono i pompieri ed i carabinieri la trovarono accasciata per terra, annerita dal fuoco e dal fumo e fu incriminata di essere stata lei l'autrice del tentativo di truffa ai danni dell'Assicurazione e dovette subire anche alcuni giorni di carcere, fino a quando non fu scagionata e rimessa in libertà, ma nessuno tolse dalla testa della gente che lei non c'entrasse in alcun modo col fattaccio. Ora la gente evitava la signora, che viveva sola ed abbandonata da tutti, anche dalla nuora, che pure, per il bene del figlio, aveva sempre sopportato e dagli sciagurati nipoti, che a turno le andavano a chiedere anche quel poco di pensione che aveva come coltivatrice e che lei per amore, comunque, donava. Un giorno Annunziata morì, aveva vissuto gli ultimi anni in una modesta casetta ed io, che la conoscevo e che conoscevo tutta la sua storia e che spesso mi recavo da lei, per conoscere tanti fatti di storia che lei in prima persona aveva vissuto, andai a renderle l'ultima visita. Era là, distesa su di un modesto lettino, coperta da un semplice abito scuro. Era vecchia, ma era ancora bella, bella anche nella morte e sul volto affilato dal “rigor mortis” spiccava quel naso piuttosto pronunciato, ma che sembrava costruito proprio per quel viso. La guardavo e nella mia mente passavano tanti pensieri; riflettevo sulla vita e di come, a volte, fa tanti scherzi agli uomini. Quella persona immobile ed inoffensiva era stata una grande donna, era stata ricchissima e, poi, tante situazioni funeste l'avevano ridotta in povertà. La guardavo e, conoscendola, vedendo quel volto, comunque, sereno avevo la certezza che era salita con l'“ascensore” in Cielo, il suo Purgatorio lo aveva sofferto sulla terra. Cicirinella teneva teneva e...che teneva, che teneva!

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