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I Tratturi nel Molise





Il Molise situato geograficamente al centro tra l'Abruzzo e la Puglia, viene identificato come punto cardine di sviluppo e collegamento dell'attività transumante italiana. Durante il periodo di ''demonticazione'' le greggi di pecore partivano dall'Abruzzo, passavano sui tratturi molisani e svernavano nel tavoliere delle Puglie; viceversa durante il periodo di'' monticazione'', partivano dal Tavoliere delle Puglie, attraversavano il suolo molisano, per passare il periodo estivo sui monti abruzzesi.
Questo denota l'importanza fondamentale che il Molise ha rivestito nel panorama della transumanza.
Sul suolo molisano sono presenti numerosi tratturi, tratturelli, bracci, riposi e taverne, e numerose, sono anche le testimonianze di capanne, villaggi e strutture architettoniche, legate alla transumanza.
La regione Molise, a differenza delle altre quattro regioni coinvolte nella transumanza,dove le ''piste erbose'' sono completamente scomparse a favore di attività agricole industriali, presenta, per numerosi chilometri, tratturi in ottimo stato di conservazione dove il pascolo di pecore, mucche e capre, viene ancora periodicamente effettuato.



I tratturi, tratturelli e bracci maggiori presenti sul suolo molisano sono:
  • tratturo Celano - Foggia (84 Km): attraversa i comuni di San Pietro Avellana, Vastigirardi, Carovilli, Agnone, Pescolanciano, Pietrabbondante, Civitanova del Sannio, Bagnoli del Trigno, Salcito, Trivento, Lucito, Morrone del Sannio, Ripabottoni, Sant'elia a Pianisi, San Giuliano di Puglia.
    Questo tratturo è caratterizzato da una marcata presenza di praterie (33%) e seminativi (31%) e da intersezioni boschive pari al 13%.
    Il tratturo Celano - Foggia è caratterizzato da uno stato di conservazione buono che, per il 17% tende all'ottimo e solo l'otto % è andato perso a causa della costruzione di case, strade e al passaggio di fiumi.
  • tratturo Castel di Sangro - Lucera (79 Km): attraversa i comuni di Rionero Sannitico, Forli del Sannio, Roccasicura, Carovilli, Pescolanciano, Chiauci, Civitanova del Sannio, Duronia, Molise, Torella del Sannio, Castropignano, Oratino, Campobasso, Ripalimosani, Campodipietra, Toro, Pietracatella e Gambatesa.
    Il suo stato di consebuono stato di conservazione è buono, per il 26% tende all'ottimo e circa il 14% è andato perso, a causa della costruzione di case, strade e al passaggio di fiumi;
  • tratturo Pescasseroli - Candela (70 Km): attraversa i comuni di Rionero Sannitico, Forli del Sannio, Isernia, Pettoranello del Molise, Castelpetroso,, Santa Maria del Molise, Cantalupo del Sannio, San Massimo, Bojano, San Polo Matese, Campochiaro, Guardiaregia e Sepino.
    Ha uno stato di conservazione buono, per il 35% tende all'ottimo e il 14 % è andato perso a causa della costruzione di case, strade e al passaggio di fiumi;
  • tratturo L'Aquila - Foggia(44 Km): (totalmente scomparso) attraversa i comuni di Campomarino, Guglionesi, Montenero di Bisaccia, Petacciato, Portocannone, San Giacomo degli Schiavoni, San Martino in Pensilis e Termoli.
    Il suolo di tale tratturo è caratterizzato quasi nella sua totalità, da suolo agricolo e difficilmente lungo il suo tragitto sono presenti segni di prateria;
  • tratturo Centurelle - Montesecco (40 Km): (totalmente scomparso) attraversa i comuni di Gambatesa, Larino, Montecilfonte, Montenero di Bisaccia e San Martino in Pensilis.
    Il suolo del tratturo Centurelle - Montesecco è quasi completamente agricolo e difficilmente lungo il suo tragitto è possibile scorgere segni di prateria.
  • tratturello Pescolanciano - Sprondasino (40 Km): (totalmente scomparso) attraversa i comuni di Castel del Giudice, Capracotta, Agnone, Poggio Sannita e Civitanova del Sannio;
  • tratturello Ururi - Serracariola (11Km): (totalmente scomparso) attraversa i comuni di Ururi, San Martino in Pensilis e Rotello;
  • braccio Cortile - Matese (15 Km): (totalmente scomparso) attraversa i comuni di Vinchiaturo, Campobasso, Campochiaro, Baranello, Busso e Ferrazzano;
  • braccio Cortile - Centocelle(15 Km): (totalmente scomparso) attraversa i comuni di Campobasso, Matrice, Campolieto, Monacilioni, Ripabottoni e Sant'Elia a Pianisi.



UniMol 'LA RETE DEI TRATTURI IN MOLISE: ANALISI DELLO STATO DI CONSERVAZIONE E PROPOSTE DI RECUPERO E VALORIZZAZIONE'

La transiberiana del molise





Un viaggio che unisce il massiccio della Majella con le sue ragguardevoli cime e i suoi grandiosi altipiani carsici con monumenti, opere d’arte e lavoro dell’uomo di queste magnifiche terre. “È un po’ come vedere un documentario dal vivo con le immagini che scorrono dai finestrini del treno.”

«Chissà, forse tra qualche anno, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Ambientali metterà sotto tutela anche le linee ferroviarie locali. Non più rami secchi bensì musei viaggianti a “bassa velocità” alla scoperta della geografia, cultura e storia d’Italia. Gli stranieri le scoprono, le usano e ce le invidiano, noi le snobbiamo e preferiamo l’automobile».

Inizia così Giuseppe Furno nella sua guida In treno alla scoperta dell’Abruzzo, nel presentare la linea ferroviaria Sulmona-Carpinone. Quasi come una previsione, una premonizione che oggi è diventata realtà. Non per opera della Soprindendeza ma della Fondazione FS Italiane che sensibile alla tematica, ha tutelato la “nostra ferrovia” all’interno del proprio progetto denominato Binari senza tempo: quattro spettacolari linee ferroviarie, che diventano un vero e proprio “museo dinamico” che la Fondazione stessa intende preservare e valorizzare.

Oggi è possibile viaggiare ancora su quella che sicuramente è la linea ferroviaria più bella d’Italia e forse va anche oltre. L’associazione LeRotaie, già protagonista con un treno storico il 4 marzo 2012, dal novembre 2014 ha iniziato una stretta collaborazione con la Fondazione FS Italiane per far sì che questa linea rimanga ancora viva.

A bordo di un convoglio storico con carrozze “centoporte” e “terrazzini” realizzate tra il 1920 e 1930, trainate dal locomotore diesel D445.1145 per l’occasione colorato con la classica livrea FS verde e marrone, si può rivivere tutta l’atmosfera di quasi un secolo fa, di quando i viaggiatori seduti su quelle stesse panche di legno avevano mete diverse da quelle che oggi noi vi proponiamo.

Durante il viaggio sono presenti guide di bordo dello staff che descrivono la storia della ferrovia e la geografia del territorio attraversato e musica popolare itinerante tra le carrozze per tutta la giornata. A terra, invece, oltre alla musica che fa sempre da cornice, stands gastronomici per assaporare la locale tradizione culinaria e visite guidate alla scoperta di musei, borghi antichi e tradizioni.Purtroppo tutto questo non basta a salvare una delle linee più belle d’Europa, noi de LeRotaie-Molise (ma non solo) siamo convinti, e lo abbiamo sempre espresso chiaramente, che la salvezza per la Sulmona-Carpinone sta nel ripristino del collegamento Pescara-Napoli.

Il termine “Transiberiana” associato alla ferrovia Sulmona-Carpinone lo troviamo per la prima volta sulla rivista Gente Viaggi del novembre 1980 dove il giornalista Luciano Zeppegno, descrivendo quasta ferrovia appenninica la apostrofò come “la piccola Transiberiana” a causa delle abbondandi nevicate nel periodo invernale che la fanno somigliare alla vera Transiberiana che da Mosca raggiunge Vladivostok. Da allora, per tutti noi, è diventata la Transiberiana d’Italia. E con questo appellativo preferiamo presentarla e farla conoscere a tutti.

La Sulmona-Isernia, inserita nella guida Touring Club d’Italia del 1910 per la sua incredibile valenza turistica ed ingegneristica, fu inaugurata il 18 settembre 1897. Si distingue per le sue caratteristiche tecniche che la fanno considerare un capolavoro di ingegneria ferroviaria con una pendenza massima del 28 per mille.

La tratta Sulmona-Isernia raggiunge una lunghezza di 128,73 km di cui 25 in 58 gallerie, la più lunga misura 3.109 metri e attraversa il Monte Pagano al confine tra Molise e Abruzzo. Troviamo, ancora, 103 opere d’arte principali tra ponti e viadotti, 374 opere d’arte minori tra acquedotti, ponticelli, paravalanghe, e cavalcavia e 21 stazioni comprese quelle estreme di Isernia e Sulmona. Per i lavori di costruzione furono utilizzati 4 locomotori numerati da 001 a 004 e battezzati, come era uso, con i nomi Solmona, Maiella, Palena e Isernia. Inizialmente il tempo di percorrenza da Sulmona a Isernia era di oltre 5 ore ma dal 1974 con l’introduzione delle automotrici diesel scese a 2 ore e 29 minuti.

Distrutta fra il 1943 e il 1944 dai tedeschi fu ricostruita e riattivata il 9 novembre 1960. Negli anni ottanta la ferrovia cade vittima della politica dei “rami secchi”. Tra il 1994 e il 1995 vengono chiuse le biglietterie, e varie stazioni declassate a semplici fermate. A fine 2010 chiude il tratto da Isernia a Castel di Sangro e un anno dopo, dicembre 2011, chiude anche il tratto abruzzese Castel di Sangro-Sulmona.


www.latransiberianaditalia.com

Il Paleolitico di Isernia





Il giacimento Paleolitico di “Isernia La Pineta” fu scoperto durante i lavori di sbancamento per la costruzione della superstrada Napoli-Vasto.

E’ da allora che specialisti di diverse università italiane e straniere, sotto il coordinamento scientifico del Prof. Carlo Peretto dell’Università di Ferrara, hanno effettuato scavi, rilievi, restauri, datazioni consentendo l’acquisizione di un primo importante bagaglio di conoscenze sul sito paleolitico di Isernia, che per quantità e qualità di testimonianze ed informazioni è uno dei più prestigiosi documenti sulla vita dei nostri progenitori.

Isernia, circa 700.000 anni fa.
Il bacino sul quale sorge attualmente la cittadina di origine sannita, nel cuore delle formazioni montuose dell’Appennino, è sede di un piccolo invaso lacustre, alimentato dal fiume Carpino e da grosse sorgenti responsabili dell’origine di potenti formazioni di travertino.
Nelle savane erbose, lungo le rive,  in uno scenario esotico, oltre a bisonti, elefanti ed ippopotami vivono anche gli uomini paleolitici di Isernia, cacciatori, raccoglitori di vegetali di crescita spontanea, nomadi o semi nomadi.

Si tratta dell’homo erectus, il primo che raggiunge l’Eurasia dall’Africa intorno ad un milione e mezzo di anni fa, in possesso di importanti facoltà mentali e di un elevato grado di cooperazione sociale nell’ambito del gruppo.
Questi uomini non hanno ancora l’usanza di seppellire i morti, non conoscono l’agricoltura o l’allevamento, e sono organizzati in piccole bande di tipo familiare, composte probabilmente da non più di 15-20 individui.
Si tratta verosimilmente di società di tipo patriarcale, con una precisa divisione dei compiti su basi sessuali: le donne sono responsabili della raccolta dei vegetali e gli uomini dell’esercizio della caccia.
Le prede preferite sono i bisonti ma gli uomini di Isernia non disdegnano certe altre faune come gli elefanti, i rinoceronti, gli orsi, i megaceri, gli ippopotami ed i cinghiali.
Tutti animali di cui oggi, nel giacimento, ritroviamo ponderosi accumuli di ossa.
Quelle di bisonte, dopo essere state spolpate vengono intenzionalmente fratturate per l’estrazione del nutriente midollo.


Lungo le coste del lago e del fiume abbondano lastrine di selce, provenienti dal disfacimento della formazione dei “diaspri varicolori”, fra Pesche e Carpinone, che vengono scheggiate per la fabbricazione degli strumenti.
Le affilate schegge prodotte con lastrina di selce lunga una decina di centimetri sono sufficienti per macellare un intero bisonte.

Non si può stabilire con certezza per quanto tempo questi cacciatori si siano fermati nella località “La Pineta”, quanti fossero e che tipo di attività abbiano praticato.

Manufatti litici ed ossa di prede cacciate si estendono  su superfici particolarmente estese di diverse decine di migliaia di metri quadrati.
Che potesse trattarsi di gruppi assai numerosi è altamente improbabile, così come è improbabile che si siano fermati per periodi prolungati o addirittura permanentemente nello stesso sito.

La spiegazione che oggi sembra più ragionevole è che siano ritornati ciclicamente, a più riprese, nella stessa area che, per ragioni legate all’approvvigionamento delle materie prime e dell’acqua e, forse, per particolari aspetti delle strategie venatorie, doveva presentare particolari vantaggi.

Una prova evidente che sono tornati in più circostanze sullo stesso sito la troviamo senz’altro nella distribuzione verticale delle testimonianze: le fasi del popolamento paleolitico dell’area sono documentate da una successione stratigrafica di almeno quattro orizzonti antropici.
I paleolitici si insediano una prima volta sulla grossa bancata di travertino, abbandonando numerosissimi manufatti ricavati da selce, da calcare ed  i resti osteologici delle prede.

Un'esondazione del fiume ricopre queste prime testimonianze con una spessa coltre di limo di origine lacustre.
Al di sopra del limo, i preistorici tornano presto ad insediarsi, lasciando altre tracce del loro passaggio.
Questa volta è una colata di fango vulcanico a ricoprire tutto, sigillando i preziosi reperti e preservandoli dalla distruzione.
I cristalli di sanidino e di biotite presenti in questi sedimenti di origine vulcanica possono essere datati col metodo Potassio/Argon, indicando un'età di 736.000 anni +/- 40.000.
I preistorici tornano una terza volta nell'area, insediandosi al di sopra dei sedimenti vulcanici, abbandonando numerosi manufatti litici, ricavati da selce e da calcare e da alcuni resti osteologici di dimensioni per lo più ridotte.
Ancora una volta le testimonianze vengono sigillate dall'accumulo di nuovi sedimenti di origine fluviale.
Una quarta fase del popolamento della zona è documentata nell'area più meridionale del giacimento e si presenta caratterizzata da una fortissima concentrazione di manufatti, ricavati esclusivamente da selce e da scarsi resti osteologici di piccole dimensioni.
Quest'ultimo gruppo di testimonianze si è rilavato di un interesse particolare, sia per la probabile presenza di tracce dell'uso del fuoco (le più antiche finora documentate al mondo), sia per l' eccezionale affidabilità delle condizioni di giacitura dei reperti, che non sembrano aver subito nessun fenomeno di disturbo ''postdeposizionale'': sono di aspetto freschissimo, fortemente concentrati in un'area delimitata e rimontano spesso fra di loro.
Non è semplice stabilire precisamente quale intervallo di tempo sia intercorso fra le quattro diverse fasi del popolamento paleolitico della zona: le caratteristiche dei sedimenti che vi si interpongono, che possono essersi accumulati anche in tempi rapidissimi, la costante presenza degli stessi tipi di faune e le forti analogie che caratterizzano i quattro gruppi di manufatti litici, lasciano pensare che si sia trattato di tempi particolarmente brevi (il che potrebbe significare da qualche mese a qualche secolo).


Il vino Tintilia





TINTILIA: LA RISCOSSA DEL MOLISE Il Molise, a torto considerato come zona vitivinicola "minore", sta vivendo una vera rinascita grazie al suo unico vitigno davvero autoctono: la Tintilia. Quest'anno per la prima volta questo vino è entrato nell'olimpo dei grandi vini grazie alla Tintilia di Di Majo Norante, premiata con tre bicchieri gambero rosso.

Questo vino, arrivato in Molise all'epoca dei Borboni, è stato il più diffuso nella regione nell'ottocento, e ha poi rischiato di sparire completamente nel secondo dopoguerra, a causa della ricerca di vitigni più produttivi e dello spostamento delle zone coltivate verso le aree pianeggianti. Il suo recupero è recente, Solo negli ultimi decenni si è risvegliato l’interesse verso questo prezioso patrimonio dell’enologia molisana, con il recupero del vitigno e la sua vinificazione (che è fatta esclusivamente in purezza) grazie anche all'interesse di grande cantine famose come Di Majo Norante.

La Tintilia è un vitigno autoctono rustico, molto resistente al freddo e non molto vigoroso. La sua produttività inoltre è piuttosto bassa e questo non ha aiutato la sua diffusione.

Il profilo olfattivo è caratterizzato da eleganti note speziate e di frutta rossa. La struttura è importante e al palato è caldo ed esprime aromi complessi con un finale lungo e persistente. L'acidità è importante ed il tannino ben presente, questo rende spesso questi vini molto adatti al lungo affinamento.

Basta un bicchiere per innamorarsi del suo colore intenso ma soprattutto dei suoi particolari profumi con note di liquirizia, della sua struttura possente e dei suoi tannini setosi. Come abbinarlo? Non ci sono dubbi: un vino di carattere come questo dà il meglio con i piatti ricchi di gusto, le zuppe rustiche, i formaggi stagionati e le carni saporite come quella di agnello.


vino.it

I formaggi tipici





Buona parte della produzione di formaggi e derivati del latte, a livello regionale, avviene in Altissimo Molise, che conta circa 96 aziende agricole che conferiscono la materia prima ai caseifici, più altre sette ditte che lo trasformano in proprio.

Nel distretto Agnone-Capracotta-Vastogirardi-Carovilli ci sono dodici caseifici che, secondo quanto stimato dalla Camera di commercio di Isernia, danno lavoro a circa 100 persone, ai quali bisogna aggiungere altri 300 addetti coinvolti nella filiera del latte: su una regione piccola come il Molise, si tratta di numeri importanti.

Questo settore, che riveste quindi un ruolo primario all’interno dell’economia regionale, ha raggiunto un livello di eccellenza anche e soprattutto grazie all’impegno dei produttori, come il Caseificio Di Nucci, il più antico della regione: la produzione è iniziata nel 1662 e da allora non si sono più fermati.

Antonia Di Nucci, che si occupa della comunicazione per l’attività di famiglia, racconta: “il Molise è come una città frammentata sparsa e sulle colline. Raggiungere gli allevatori da cui prendiamo il latte non è sempre facile”.

Il Caseificio Di Nucci, infatti, si rifornisce soltanto da 15 produttori locali, che hanno piccoli allevamenti.

Con una media di 12 capi a testa, c’è il massimo rispetto per gli animali, che spesso hanno libertà di pascolare nei terreni delle aziende agricole, e di conseguenza per il consumatore.

Una scelta di valore, perché “i nostri formaggi esprimono l’identità del territorio: la passione degli allevatori si traduce nel latte, che non è pastorizzato perché eccellente e garantito.

In questo modo nel formaggio si mantiene una grande varietà olfattiva, dovuta ai fiori e alle erbe di cui gli animali si nutrono”.


Il giornale del cibo

Lo scopo molisano





Il Molise, regione centrale dell'Italia, ha un territorio che va dal mare al'alta montagna con fiumi e laghi incantevoli, un variegato numero di specie animali e una flora pieni di odori e natura incontaminata.

Vogliamo far conoscere a tutto il Mondo che cosa è la regione Molise e che cosa è in grado di offrire.

Pensando alle nostre bellezze naturalistiche, storiche, culturali, tradizioni e folclore abbiamo ideato questo sito per mettere in contatto le persone con la nostra regione.

Per far ciò abbiamo raccolto informazioni di ogni genere da vari fonti, biblioteche, musei, presidi turistici regionali, provinciali e comunali, siti archeologici, paleolitici, religiosi e altre ancora e sono state inserite in questo sito.

Il database creato permette, al potenziale turista, di decidere quale itinerario scegliere, ma nello stesso modo troverà anche tutte le informazioni che necessitano al suo soggiorno.

Il nostro obiettivo è anche quello di sottolinere gli eventi , mostre, gare, convegni, sagre, feste, raduni, escursioni indirizzando il turista ad ottimizzare le proprie vacanze.

Indichiamo anche in che modo può girare il Molise se a piedi, con escursioni e scampagnate, a cavallo tra i nostri parchi naturali, per i tratturi, in itinerari come nel Far west oppure con il treno, allo scopo abbiamo la TRANSIBERIANA DEL MOLISE (Isernia- Sulmona) itinerario con treno d'epoca e tappe culturali/enogastronomiche nei vari comuni della tratta ferroviaria, con pullman, in biciletta e cosi via.

Non dimentichiamo gli itinerari enogastronomici, con il vino TINTILIA e DEGLI OSCI tipici molisani, al caciocavallo prodotto solamente da mucche che pascolano sui nostri prati, al "principe" della tavola IL TARTUFO bianco o nero che dà quel gusto unico ad ogni pietanza, senza tralasciare i salumi, le confetture e i prodotti sott'olio extravergine del molise, un olio leggerissimo che vince ogni anno premi e riconoscimenti per l'olio migliore d'italia.

Cosa dire altro, abbiamo creato un'opportunità al Molise per farsi conoscere al turismo mondiale, una terra meravigliosa che poche persone conoscono.


IL Tartufo del Molise





La regione Molise è in assoluto una delle regioni d’Italia dove si produce il miglior tartufo presente sul mercato nazionale e internazionale. Il tartufo bianco molisano è il Tuber Magnatum Pico, cioè il tartufo bianco pregiato, il miglior tartufo esistente.

Utilizzo

Il tartufo bianco deve essere consumato fresco e crudo affettato finemente su pasta, riso, carne, uova, bruschette e altre pietanze. Il tartufo bianco ha un odore e un sapore inconfondibile che dona ad ogni piatto, anche il più semplice, un gusto magnifico che bisogna provare almeno una volta nella propria vita.

Conservazione

Il tartufo bianco deve essere preferibilmente consumato fresco e crudo, se ciò non fosse possibile è buona norma tenerlo in frigorifero avvolto in carta da cucina assorbente o carta del pane chiuso in un barattolo di vetro, il tartufo in questo caso può anche non esser lavato ,cambiare la carta dopo alcuni giorni aiuta a tenere il tartufo asciutto. Dopo aver pulito con attenzione i tuberi gli stessi possono essere conservati immersi in riso crudo il quale potrà essere utilizzato in seguito per preparare un buon risotto.

Alcuni conservano il tartufo bianco interno precedentemente pulito, in vetro sott’olio il quale, pronto all’uso è utilizzabile in qualsiasi occasione, inoltre il tartufo fresco pulito e affettato finemente può essere mischiato con il burro fino a creare una crema da riporre in vetro in congelatore, utilizzabile su risotti, bruschette, e pasta in genere.

In generale il tartufo deve essere consumato fresco quindi i metodi di conservazione sopra elencati permettono una conservazione del tartufo più o meno lunga da 5 a 7 giorni, se surgelato anche più di un mese.



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