I fiumi di Isernia tra ovest e est

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I due corsi d’acqua che cingono Isernia sui lati orientale e occidentale, i torrenti che oggi vengono chiamati Carpino e Sordo, anticamente avevano altri nomi. Difatti si appellavano, rispettivamente, Gianocanense e San Giovenale 1 (o Giovinale), poiché, secondo alcuni, erano dedicati a entità del pantheon romano e italico: Giano e Giove. Questi “nomi divini” erano ancora in uso alla metà dell’Ottocento, come testimoniò Stefano Jadopi, allorché descrisse l’idrografia isernina: «Isernia si presenta allo sguardo del viaggiatore che viene dalla Capitale del Regno, a ridosso di una lunga depressa collina, nella cui larga base, alla distanza di circa un terzo di miglio, serpeggiano i fiumi Gianocanense a dritta e San Giovinale a sinistra; il primo de’ quali fiumi unendo al sud-est le sue acque con quelle del Longano, vanno così uniti ad ingrossare il secondo, e formano a sud-ovest il Cavaliere, fiume che si scarica in seguito nella corrente Vandra, per quindi gittarsi tutte insieme queste acque nel Volturno». Tra gli antichi era circostanza normale ritenere sacre le entità naturali quali i monti e i fiumi. Ciò interessava àmbiti religiosi che si collegavano a tematiche cosmogoniche e teogoniche, laddove la genesi mitica e la figura divina davano sacralità ai fenomeni della natura. I monti e i fiumi, per la loro “anima” e morfologia sostanzialmente derivante da due elementi primari (terra e acqua), sono stati visti quali modelli archetipali, così come per la loro considerevole estensione verticale o orizzontale hanno impersonato i giganti universali sovrastanti l’umano. E queste simbologie hanno coinvolto sia livelli religiosi primitivi che evoluti. L’acqua, in particolare, attraverso forme strutturali apparenti, viene interpretata come epiphaneia idrica, come la Grande Madre Fonte, l’energia dissetante dell’altra Grande Madre, la Terra Mater. In tutte le culture, specie quelle agricole, la vis vitae è stata costante mente correlata ai terreni fertili, al giusto rinnovarsi dei cicli stagionali per il raggiungimento della prosperità e della sicurezza dei gruppi umani. Pertanto i fiumi, come altri ingovernabili elementi naturali, hanno assunto un aspetto divino, quali imprescindibili forze ausiliatrici da cui dipendeva in gran parte la sopravvivenza delle società. Tra gli Egizi, il Nilo era il dio Nilo e, per rimanere in Molise, il Volturno era dai Latini ritenuto dimora del dio omonimo. Nessuna meraviglia, quindi, se ad Isernia i nomi dei corsi d’acqua si ispiravano a quelli di Giano e Giove. I due torrenti isernini hanno subito – come già detto – la mutazione dei loro originari appellativi altisonanti in quelli molto più umili di Carpino e Sordo. Il primo lo deve al fatto di transitare lungo la Valle Caprina, e, infatti, era chiamato Caprino, poi cambiato in Carpino. L’altro, invece, vide sostituire il proprio nome forse per il rumore “sordo” e soffocato che fanno le sue acque nello scorrere. I divini fiumi hanno patito in tal modo la totale obliterazione d’ogni sacralità. Comune di Isernia tratto da: dal volume Mauro Gioielli, Isernia fra passato e presente, Palladino editore, Campobasso, 2006, pp. 37-39


25/06/2018

Claudio Varriano

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