Cercando articoli sul Molise ho trovato questo datata 2015 ma, da quello che ho letto, è perfettamente ancora contemporaneo. Il Molise siamo noi non facciamoci male da soli.

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Cercando su Google “Molise non esiste” si ottiene come primo risultato una pagina di Nonciclopedia con questo virgolettato attribuito a un fantomatico Dottor Gregory Donald Johnson : “Ho studiato a lungo la geografia (…) dell’Italia, e sono giunto alla conclusione che il fatto che nessuno ricordi il capoluogo del Molise, il piatto tipico del Molise, una canzone popolare del Molise o perfino il dialetto di questa regione, si può spiegare così: il Molise non esiste”. Che vi piaccia o no il Molise invece esiste eccome, però è afflitto da un problema non da poco: l’incapacità atavica di associare a se stesso qualcosa che lo renda riconoscibile non solo ai turisti stranieri ma anche agli italiani. Agli occhi dei suoi detrattori questa regione è un po’ come quelle formule matematiche che si insegnano a scuola, nessuno le tiene a mente più di mezz’ora perché sono troppo astratte per riuscire a collegarci un’immagine che aiuti il cervello a ricordarle. La geografia ci ha messo del suo, questo non si può negare. Come la Valle d’Aosta, il Molise è una regione piccola e montagnosa, ma non può competere con la reginetta delle Alpi se si parla di neve e impianti sciistici. Ha il privilegio di avere anche il mare, certo, ma si ritrova a dover fare i conti a una manciata di chilometri più a sud con gli strombazzati lidi salentini. A guardarlo sulla mappa il Molise appare per quello che è: un pezzetto di terra stritolato tra la Puglia e l’Abruzzo e ricacciato verso l’Adriatico dal Lazio e dalla Campania. Se con Madre Natura è inutile prendersela, con il Caso invece ci si può anche arrabbiare. A Ferrazzano, il comune molisano che ha dato le origini ai bisnonni di Robert De Niro, firmerebbero subito per ricevere anche solo la metà della visibilità avuta da Bernalda, il paesino della Basilicata scelto da Francis Ford Coppola per costruirci un relais di lusso in onore dei suoi antenati lucani. Nonostante una corte spietata, pare che l’attore non si sia mai fatto vivo nella terra in cui riposano i suoi avi. Nel frattempo, nella poco distante Montenero di Bisaccia, c’è chi si accontenta del ricordo di Antonio Di Pietro che in maglietta gialla e cappellino parasole trebbia il grano della sua campagna. Ma l’agricoltura, si sa, non ha il fascino dell’hôtellerie di lusso targata Hollywood. Se ci si aggiunge un po’ di danno, il Molise è stata l’unica regione italiana non visitata dall’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e pure la beffa, dal Molise partono i traghetti che portano i turisti alle visitatissime Tremiti, che però sono pugliesi, ecco che il quadro può cominciare a farsi sconsolante. Come per gli esseri umani, anche lo spirito di una città e di una regione è influenzato dagli eventi del passato. È quello che ho capito passeggiando per le vie di Termoli con Roberto Trivelli, termolese doc e tra i fondatori di Let’s Dig Again, la prima web radio italiana che affronta tematiche legate all’archeologia. Roberto mi ha spiegato che questa città è stata per secoli terra di conquista da parte di pirati e briganti di ogni sorta, che ne hanno saccheggiato non solo le ricchezze ma anche, un po’ alla volta, l’identità. Scoprendo Termoli ci si rende conto di come le varie sfortune del Molise possono trasformarsi in punti di forza. Questa città, che conserva ancora le vestigia dell’antico borgo marinaro, riesce a regalare tutto quello che un turista cerca d’estate: mare pulito, un’unicità da fotografare (il vicolo più stretto d’Italia, Rejecelle, purtroppo abbandonato a se stesso), un buon rapporto qualità-prezzo e spettacoli come quello del sole che tramonta sui trabocchi. Il romanticismo però non basta. Servono strategie di promozione turistica non solo per le località marittime ma anche per quelle, ancora più trascurate, dell’entroterra. Magari non si riuscirà a replicare il colpaccio messo a segno nel 2010 dalle Marche, che per qualche milione di euro si aggiudicò Dustin Hoffman come testimonial, ma da qualche parte bisogna pur partire. Magari da un blogtour o da un sito del turismo regionale che non faccia tornare in mente gli albori dell’era digitale. A cercare bene la materia prima che può essere usata per creare un’immagine forte del brand Molise c’è tutta. Ma non è sufficiente appuntarsi la medaglietta sul petto quando una testata internazionale parla di te o lanciare improvvisati gemellaggi con Boston e Silver Lake (questo inverno a Capracotta, in provincia di Isernia, sono caduti la bellezza di 256 centimetri di neve e il paese è finito sui media di mezzo mondo, mandando in estasi il primo cittadino). Mi chiedo se chi si occupa di turismo in Molise sa che su Facebook c’è una pagina che si chiama “Il Molise non esiste” che ha 13 mila “mi piace”, più di quelli di tutte le pagine collegate al turismo nella regione. E mi chiedo, poi, se le battute sulle dimensioni fatte da personaggi pubblici come Luciana Littizzetto e Crozza siano state prese solo per quello che sono oppure usate come spunto di riflessione. Le gambe corte non si possono allungare, ma le lenti degli occhiali possono essere pulite. Chiudo questo post con una domanda: perché non lanciare una vera campagna per sfruttare quelle che sono ragioni di ilarità collettiva – le dimensioni, la presunta inesistenza – a proprio favore e ribaltare l’idea che gli italiani hanno del Molise? L’hashtag esiste già e io ve lo ripropongo: #moliseesiste. Foto: tutte le foto, compresa quella di copertina, sono state prese online


10/12/2018

C.Varriano

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